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L’isolotto. 229

— M’immagino che avranno quattro gambe e del pelo, — s’era detto, Alvaro, cacciandosi sotto le piante.

Farò fuoco sul primo che incontrerò. —

Quel povero Diaz, dopo tanto sangue perduto, ha bisogno del buon brodo per rimettersi un po’ in gambe. —

L’isola che pareva avesse qualche miglio di circonferenza, era tutta coperta d’alberi e di cespugli foltissimi in mezzo ai quali svolazzavano miriadi di beia flores, quei microscopici uccelletti chiamati colibrì, dalle penne dorate, azzurre, verdi e nere e di trochlius minimus i più piccoli volatili conosciuti non essendo più grandi di un tafano.

Quella piccola foresta non era però esclusivamente formata da acagiù. Parecchie piante fruttifere che potevano somministrare delle frutta squisite, crescevano qua e là a gruppi e anche le palme e le liane non mancavano.

Vi erano dei superbi acajaba già carichi di quelle deliziose pere che Alvaro aveva già assaggiate ed i tronchi coperti di grosse gocciole di gomma profumata; dei manzamba, piante che possono supplire la vite, ricavandosi dalle loro frutta una specie di vino assai gustoso; delle maraninga che danno delle frutta grosse come un uovo di anitra, assai stimate, ripiene di semi che sono avvolti in una sostanza gelatinosa e poi molte altre che Alvaro non aveva mai vedute.

— Le frutta non ci mancheranno a tavola, — disse il portoghese, — sarà forse la selvaggina che si farà desiderare giacchè finora non vedo altro che degli uccelletti, dei quali ce ne vorrebbero almeno duecento per fare un arrosto modestissimo, appena capace per una persona.

Così monologando si era spinto fino quasi nel centro dell’isolotto, quando vide fuggire dinanzi a sè alcuni strani animaletti che fino ad un certo punto si potevano scambiare per testuggini, essendo avvolti in una vera corazza ossea formata da un gran numero di piastre.

— Che siano i tatù? — si chiese Alvaro. — Tatù o no, non me li lascerò scappare. —

Gli animaletti avevano cominciato a scavare rapidamente il suolo coll’evidente intenzione di aprirsi una galleria e operavano con tale velocità, che quando Alvaro piombò a loro addosso, col calcio del fucile alzato, quasi tutti erano scomparsi.