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L’isolotto. | 233 |
— Leva la buccia e gettali nella pentola, — disse il marinaio. — Il brodo riuscirà più gustoso. —
I tatù già bollivano ed il vaso grillettava rumorosamente spandendo all’intorno un profumo squisito che sarebbe stato ben migliore se i naufraghi avessero avuto a loro disposizione un po’ di sale.
— Peccato, — diceva Alvaro, che sorvegliava la cottura dei due rosicchianti. — È il sale che manca.
— Se si potessero trovare dei mollè, ne potremmo ricavare dalle loro ceneri, — rispose il marinaio. — Ma tutto non si può trovare su un isolotto e avremmo torto a lamentarci, signor Viana.
Vi abituerete anche voi alla mancanza di quella derrata preziosa.
— Vi sono perfino degli alberi che forniscono il sale?
— Tutto si ricava dalle piante in questo fortunato paese. Il vino ed il latte, la cera per fabbricare le candele, balsami per le ferite, succhi d’ogni specie e perfino veleni terribili per ammazzare le persone.
Le foreste brasiliane tutto possono fornire, perfino le armi per difendersi contro le belve.
— E anche il pranzo tutti i giorni, — disse Garcia.
— E senza affaticarsi, — aggiunse il marinaio.
— Il paese della cuccagna, — disse Alvaro sorridendo.
— Sì per coloro che sanno sfruttarlo, signor Viana.
— E dove si corre anche il pericolo di venire mangiati come polli.
— Questione di abitudini e di costumi signore, — rispose Diaz.
Da noi si mangiano i buoi ed i vitelli, qui si divorano gli uomini come fossero bistecche. Ah! Diavolo! Noi scherziamo e dimentichiamo gli Eimuri ed i Caheti!
— A tavola! — gridò in quel momento il mozzo, levando il vaso dal fuoco. — Finchè gl’indiani mangiano i loro simili noi diamo un colpo di dente ai tatù.
Io credo che valgano meglio della carne umana. —