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240 Capitolo Venticinquesimo.

— Una freccia, — mormorò agli orecchi del mozzo.

— L’ho veduta signore.

— Chi può averla lanciata? Un indiano di certo.

— Fuggiamo signore.

— No, l’uomo che l’ha gettata potrebbe udirci e noi non sappiamo se è solo od accompagnato.

Restiamo qui e non muoviamoci. Il cespuglio che ci ripara è folto e nessuno può sospettare la nostra presenza.

— Ed io che stavo per far fuoco!

Un fracasso di rami schiantati seguito da un ou-uu rabbioso si fece udire in alto.

Il coguaro che doveva essere stato ferito da una freccia avvelenata, era precipitato giù dall’albero assieme alla sua vittima, sfondando col proprio peso le liane ed i rami.

— Non muoverti, — mormorò Alvaro, trattenendo Garcia che spinto da una imprudente curiosità stava per farsi innanzi. — Accovacciati presso di me e non fiatare. —

Scostò adagio adagio i rami e cercò di scoprire il cadavere del coguaro. Lo vide infatti, dieci metri più innanzi, sdraiato alla base dell’albero, presso la scimmia.

— Vedremo chi andrà a raccoglierlo, — mormorò Alvaro.

Erano trascorsi appena due minuti quando udì un fruscìo di foglie e dei rami a crepitare. Una o più persone s’aprivano il passo fra i fitti cespugli che formavano come una seconda foresta sotto la prima, costituita invece dalle palme e dalle immense summaneire, dalle pekie ecc.

Ad un tratto due persone sbucarono fra le foglie d’una bananeira e si diressero sollecitamente verso il coguaro il quale non dava ormai più segno di vita.

Alvaro aveva fatto uno sforzo supremo per non lasciarsi sfuggire un grido di sorpresa.

In quei due selvaggi aveva riconosciuto il capo degli Eimuri ed il ragazzo indiano che gli aveva servito d’interprete.

Come si trovava là quel maledetto antropofago? Aveva seguite le tracce dei due fuggiaschi smanioso di vendicarsi d’essere stato così destramente giuocato? Oppure era giunto presso la savana sommersa per puro caso, guidando qualche partita di cacciatori?

— Non muoverti, Garcia, — sussurrò Alvaro. — Corriamo il pericolo di venire mangiati.