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Rospo Enfiato. 265

— Silenzio gran pyaie, — disse in quel momento Rospo Enfiato, ritirando le pagaie.

— Che cosa c’è? — chiese il marinaio.

Aldèe!...

— Dove?

— Lassù, verso quella punta.

— Dei Tupy?

— Certo, — rispose l’indiano.

— Potremo passarvi dinanzi senza destare l’attenzione degli abitanti? A quest’ora devono dormire come i sucuriù durante la stagione secca.

— Se gli Eimuri non sono stati completamente scacciati dal territorio, nell’aldèe si veglierà.

— Già, è vero. Che cosa ci consigli di fare?

— Lasciare la canoa e gettarci nella foresta. Marcieremo con maggior sicurezza e potremo avvicinarci, senza venire facilmente scoperti, alla grande aldèe dei Tupy.

Tuo figlio deve trovarsi colà, ne sono sicuro.

— Mi spiace abbandonare la canoa.

— L’affonderemo, così potremo ritrovarla nel ritorno e rifugiarci ancora nella savana sommersa.

— Che cos’ha dunque l’indiano? — chiese Alvaro che s’impazientiva.

— Vi è un aldèe dinanzi a noi, ossia un villaggio di Tupy, — rispose Diaz. — Rospo Enfiato non osa passarvi dinanzi e ci consiglia di gettarci nella grande foresta.

— Possiamo fidarci di lui?

— Interamente.

— Allora andiamo alla riva. —

Attraversarono il fiume approdando sulla riva destra e sbarcarono.

L’indiano legò la canoa al tronco d’un albero, servendosi d’una liana molto lunga, mise a terra le sue provviste, la sua amaca ed un paio di pentole, poi riempì d’acqua la scialuppa, facendola affondare in mezzo ad un gruppo di enormi foglie di victoria regia onde nessuno potesse scorgerla.

Stavano per salire la riva e coricarsi sotto i palmizi, quando l’indiano tese un braccio verso l’alto corso del fiume, dicendo al marinaio:

— Vede il gran pyaie? —