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La ritirata di Diaz. 317

sentivano ancora sicuri, anzi tutt’altro! Ogni volta che si fermavano udivano verso le macchie scrosciare le foglie secche e stormire i rami.

I due giaguari o tre che fossero, non li avevano ancora abbandonati e aspettavano certo l’occasione propizia per slanciarsi su di loro e divorarli.

L’assalto, fortunatamente, ritardava e forse in causa della zona scoperta che essi percorrevano e che impedivano alle belve di piombare addosso a loro di sorpresa.

Correvano da venti minuti, quando Rospo Enfiato si gettò improvvisamente fra i paletuvieri gridando a Diaz:

— Seguimi senza ritardo.

— Vuoi cacciarti in acqua?

— No, la canoa è nascosta qui presso.

— L’hai veduta?

— Un indiano non s’inganna mai. —

Si erano issati sui rami contorti delle piante e s’avanzavano verso l’acqua, quando una forma oscura piombò a pochi passi da loro, sprofondando fra le foglie.

— Guardati! — gridò Rospo Enfiato.

Carracho! — gridò Diaz. — Un po’ più innanzi e mi piombava addosso.

S’appoggiò fra due rami e si volse tenendo la gravatana accostata alle labbra.

Il giaguaro che aveva tentato quel salto, pareva che non si trovasse troppo bene fra i paletuvieri sui quali non poteva trovare l’appoggio che gli era necessario. Lo si udiva a dibattersi ed a brontolare.

Saliva, poi ricadeva e probabilmente non gli piaceva affatto di sentirsi bagnare la coda e le zampe deretane.

Diaz aspettò che mostrasse la testa a livello delle foglie e gli lanciò una freccia che lo colpì fra i due occhi.

L’animale non parve nemmeno accorgersi di essere stato colpito a morte anzi con uno sforzo supremo si issò su un ramo più robusto degli altri, tentando di avventarsi sulle prede che stavano per sfuggirgli.

Il terribile veleno faceva però il suo effetto, con rapidità fulminea. Si era appena alzato, quando fu veduto ricadere.

Si udì un mugolìo soffocato poi un tonfo. L’acqua lo aveva inghiottito.