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62 Capitolo Sesto.

— È vero, signore, — rispose il mozzo. — L’ho osservato anch’io.

— Che cosa possa essere?

— Che sia qualche indiano, signore?

— Sì, con una coda che potrebbe fracassarti le gambe, — disse Alvaro. — È un altro brutto bestione.

— Una bestia?...

— Un caimano od un alligatore.

— Con tutte quelle piante sul dorso?

— So che quei rettili di quando in quando si seppelliscono nel fango e che vi rimangono parecchio tempo in una specie di torpore profondissimo sicchè la piante che coprono il fondo delle paludi crescono anche fra le scaglie di quegli anfibi.

— Sono pericolosi?

— Talvolta, ma non dobbiamo spaventarci, Garcia. Eppoi non vedi che gira al largo senza fare attenzione a noi? Ah! I begli uccelli! Se provassi a fare un buon colpo?

— E la detonazione?

— Non abbiamo veduto finora altri indiani, quindi possiamo provare. —

Una nuvola di tucani con becco quanto come l’intero corpo, passava a cinquanta passi dai naufraghi.

Alvaro che aveva già al mattino caricato il fucile a pallettoni, mirò in mezzo al gruppo e fece fuoco.

Cinque o sei volatili caddero morti o feriti sopra un isolotto che si trovava a pochi passi dalla riva.

Il mozzo si era slanciato risolutamente in acqua, avendo osservato che il fondo si trovava solamente a qualche metro.

Ci teneva troppo all’arrosto per lasciarselo sfuggire.

Si era appena immerso e aveva percorsi una diecina di metri, quando un grido gli sfuggì, un grido che fece gelare il sangue ad Alvaro.

— Signore, aiuto! —


CAPITOLO VI.

Il giboia delle paludi.


Le savane dell’America meridionale sono pericolosissime e lo sanno bene gl’indiani i quali prima di attraversarle si assicurano prudentemente della natura del fondo per non farsi inghiottire.