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128 la città dell'oro

Faceva ancora abbastanza chiaro per poter distinguere la selvaggina, non essendo il sole ancora del tutto tramontato. Bisognava però affrettarsi, poichè sotto l’equatore il crepuscolo è di breve durata.

Procedendo rapidamente, pur con precauzione, in pochi minuti l’indiano ed Alonzo raggiunsero il margine della palude, la quale aveva una estensione notevole. Colà giunti videro che le piante di legno cannone si muovevano a circa quattrocento passi da loro, verso l’estremità della grande foresta che si stendeva sulle sponde dei due fiumi.

— Credo che siano tapiri, — disse Yaruri.

— Che animali sono? — chiese Alonzo.

— Grossi molto, ma la loro carne è un po’ coriacea.

— Sono pericolosi?

— Niente affatto.

— Allora li uccideremo più facilmente.

Approfittando degli ultimi bagliori del crepuscolo, girarono la palude e giunsero là dove si agitavano i fusti lucenti del legno cannone.

Un animale grosso come un vitello, ma col corpo male tagliato che rassomigliava a quello d’un maiale, con un muso allungato che terminava in una piccola proboscide, colla pelle rugosa come quella degli ippopotami e coperta di peli fini e radi sul dorso, ma più