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Pagina:Salgari - La Città dell'Oro.djvu/188

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180 la città dell'oro

— Non vuole lasciarci dormire in pace — disse il dottore. — Bisognerà sbarazzarsi di questo pericoloso vicino.

— Che ci assalga?

— Non ne dubito. I giaguari di notte non temono l’uomo e talvolta nemmeno di giorno.

— Sono adunque molto audaci?

— Figurati che una volta un giaguaro osò penetrare perfino in una chiesa, in quella del Convento di San Francesco di Santa Fè.

— Uccidendo i fedeli?

— No, i monaci. L’inondazione lo aveva scacciato dalle isolette del Rio Bravo ed il feroce carnivoro avendo approdato alla sponda aveva superato l’orto dei monaci e s’era rifugiato nella sagrestia. Un monaco dopo d’aver detto le sue orazioni, stava per entrare nella sagrestia, quando il giaguaro gli fu addosso e lo sbranò. Al grido straziante emesso dal disgraziato, accorse dapprima un guardiano del convento e cadde sotto gli artigli della fiera, poi un monaco e subì la egual sorte, quindi un indiano e fu parimenti ucciso.

— Un vero massacro; e non fu ucciso?

— Sì, Alonzo. Un certo Frondo, accortosi della presenza della belva, chiuse la sagrestia a catenaccio