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246 la città dell'oro

meggianti. Discese rapida per quattro metri, poi, quando già i naufraghi credevano d’esser perduti, s’arrestò: aveva toccato il fondo!

— Siamo salvi! — esclamò Alonzo.

— Ma sono riusciti nel loro intento, — disse don Raffaele con sorda rabbia. — Ci hanno arrestati.

— Non ancora, — mormorò Yaruri.

— Ma che siano stati gl’indiani a lanciarci contro quei dannati tronchi? — chiese Alonzo.

— Sì, — rispose don Raffaele. — Io non ho più alcun dubbio.

— Sono stati loro, — confermò Yaruri.

— Ma in quale modo? Occorrono molte braccia per abbattere simili giganti.

— È facile a spiegarsi, — disse il dottore. — Avranno raccolto i tronchi d’albero che l’Orenoco, quasi sempre trascina nel suo corso; li avranno radunati presso il passaggio della cateratta e quando ci hanno veduti li avranno lasciati andare.

— E così ci hanno rovinati, — disse don Raffaele. — Eccoci in una posizione disperata e privi dei mezzi necessari per continuare il viaggio. Addio Città dell’Oro.

— Yopi sarà ancora mio, — disse Yaruri con accento feroce.

— È meglio che tu rinunci.