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276 la città dell'oro

i più piccoli di tutti, ma i più battaglieri. Trillavano sull’orlo dei loro nidi graziosissimi, fatti in forma di coni rovesciati, facendo scintillare le loro piume verdi, o turchine, o nere porporine a riflessi dorati.

Gli animali invece mancavano ed anche i quadrumani, di solito numerosi sulle sponde dell’Orenoco, non facevano udire le loro grida discordi. Solamente una coppia di saiminé, o scimmie scoiattolo, saltellavano fra i rami d’una lantana camara, gentile arbusto rampicante carico di graziosi fiori variopinti.

— È un luogo tranquillo — disse Alonzo.

— E sicuro — aggiunse il dottore. — Questa savana tremante impedirà ai misteriosi indiani, che si ostinano a perseguitarci, di sorprenderci.

— A te, Yaruri — disse don Raffaele. — Affidiamoci all’uomo dei boschi.

— Prima di tutto pensiamo al canotto — rispose l’indiano. — Ecco là un grosso bambù che fa per noi.

— È grosso come una botte — disse Alonzo. — Sarà facile abbatterlo?

— Impossibile per un uomo bianco, ma non per un indiano — rispose Yaruri.

— Resisterà alla scure?

— L’arma rimbalzerebbe senza intaccarlo. Questi bambù sono leggeri ma tenaci.