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Il pane degli indiani | 279 |
— Ma è vero latte! — esclamò. — Foresta benefica!... Si sono mai veduti degli alberi surrogare le bovine?
— Bevete, o il succo sfuggirà tutto, — disse l’indiano.
Alonzo vuotò la fiaschetta, poi bevettero il piantatore, Velasco e ultimo Yaruri.
— Ora in marcia, — disse questi.
Rinvigoriti da quel latte, si misero in cammino costeggiando la savana tremante e oltrepassata la lunga lingua di terra che la divideva dal fiume, guadagnarono la grande foresta che si estendeva lungo la cateratta.
Yaruri s’arrestò alcuni istanti per orientarsi, poi condusse i suoi compagni nel folto della selva e s’arrestò sul limite d’una radura, in mezzo alla quale si vedevano ancora sorgere gli avanzi di alcune capanne.
Tutto all’intorno il terreno era diboscato per un grande tratto e portava ancora tracce di coltivazione. Qua e là crescevano alberi di cocco, ma ormai mezzi selvatici; banani già carichi di frutta deliziose e profumate; piante di batolo le cui foglie, messe in infusione, calmano le febbri, piante di tabacco che un tempo dovevano aver servito alla missione; aranci, cedri, mangli che si curvavano sotto il peso dei loro frutti che sono eccellenti e succosi ma impregnati d’un