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Caccia ad un elefante 125

— Mi proverò, Alfredo.

— Guidaci, Asseybo.

— Sta’ in guardia, padrone. Quell’elefante deve essere un vecchio maschio e tu sai che quelli sono terribili.

— Ci avvicineremo con prudenza. —

Il negro, sapendo per prova quanto il padrone fosse audace e abile cacciatore, non esitò più e si mise in cammino seguendo le rive del fiumicello.

Ben presto i due bianchi udirono il formidabile avversario. Dei frequenti barriti, un po’ rauchi, echeggiavano sotto la foresta, seguìti da strani gorgoglii che parevano prodotti da una pompa che si scaricava dell’acqua.

Probabilmente l’elefante era stato colpito ed assorbiva fragorosamente l’acqua del fiume per inondare la ferita.

Asseybo aveva rallentata la marcia e non si avanzava che con estrema prudenza, temendo di schiantare qualche ramo e di attirare così l’attenzione dell’animale.

Intanto i barriti diventando più potenti e più frequenti, destavano tutti gli echi della selva. Pareva che perfino le foglie tremassero.

— Ci darà da fare, — disse Alfredo ad Antao. — Quando sono feriti non esitano a scagliarsi anche contro un reggimento di cacciatori. Sii prudente e non scaricare la tua carabina se non sei certo del tuo colpo o ti farai schiacciare come una nocciuola.

— Provo un certo tremito che non è rassicurante, — rispose il portoghese; — ma dinanzi al pericolo e trattandosi di salvare la pelle, passerà! Non udranno i nostri spari, i negri che abbiamo veduto?...

— Bah!... A quest’ora devono essere ben lontani e poi queste masse di verzura non permettono alle detonazioni di espandersi a grandi distanze.

— Padrone! — esclamò in quel momento Asseybo. — Eccolo!... —

Presso la riva del fiume, semi-nascosta da un macchione di bambù, una massa mostruosa giganteggiava, colla tromba tesa innanzi, come se si preparasse a caricare un nemico od a prevenire un improvviso assalto.

Era un elefante selvaggio, ma uno dei più grossi e dei più belli che Alfredo avesse veduto fino allora, un animale degno