Pagina:Salgari - La Costa d'Avorio.djvu/148

Da Wikisource.
126 Capitolo diciottesimo

di stare a fronte dei più colossali merghee delle regioni indo-malesi.

Gli elefanti africani, checchè se ne dica, sono più maestosi di quelli del continente asiatico e sebbene nelle forme generali siano quasi eguali, sono un po’ diversi nei particolari.

Generalmente sono più larghi di fianchi, più robusti fors’anche dei coomareah che sono i più forti ed i più massicci della razza asiatica: hanno la fronte convessa invece di averla concava, hanno quattro zoccoli nei piedi posteriori invece di tre, le orecchie più sviluppate che si riuniscono sopra le spalle e che pendono poi sul petto e le zanne d’una bellezza straordinaria e d’una mole enorme, perchè pesano sovente perfino quattrocento libbre, mentre quelle degli elefanti asiatici di rado sorpassano le cento.

Anche le femmine sono diverse da quelle asiatiche, perchè mentre queste sono sprovviste di zanne o le hanno appena visibili, le prime le hanno molto sviluppate, non tanto però come i maschi.

L’elefante che gl’intrepidi cacciatori stavano per affrontare, doveva essere rimasto indietro in causa di qualche ferita ad una gamba anteriore, vedendolo alzare di tratto in tratto la destra.

Pareva che non si fosse ancora accorto della presenza di quei nuovi nemici che contavano di regalarsi un pezzo di proboscide arrostita, essendosi avvicinato al fiume per bagnarsi la ferita invece di assalirli; ma non doveva tardare a sentirli trovandosi sottovento.

— Adagio, — aveva detto Alfredo ai suoi due compagni. — È necessario che ci mostri la fronte o le nostre palle non otterranno altro successo che quello d’irritarlo maggiormente. —

Si erano nascosti tutti e tre dietro un gruppo di teck, i cui tronchi colossali dovevano essere sufficienti a difenderli contro qualunque carica del pachiderma, e di là attendevano il momento propizio per fare una scarica.

Vedendo però che il colosso non si decideva ad abbandonare il fiume, Alfredo, che era impaziente di finirla, si risolse a costringervelo.

Raccomandò ai compagni di non abbandonare quel rifugio e strisciò all’aperto, tenendosi celato dietro una fila di ebani, i quali, in caso di pericolo, potevano preservarlo da un attacco furioso.