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Il cabecero Ghating-Gan 203

— E per quale motivo? — chiese Antao, stupito.

— Sono parecchie ore che un timore mi tormenta.

— Quale?...

— Che Kalani sospetti dell’ambasciata.

— È impossibile, Alfredo.

— Egli mi attende ad Abomey. Sa che io non sono uomo da lasciargli nelle mani mio fratello.

— Diavolo!... — mormorò il portoghese. — Ciò può essere vero, ma ormai è troppo tardi per tornare indietro. Penso però che siamo così bene dipinti, che nessuno potrebbe sospettare in noi degli europei. Tu poi, sei assolutamente irriconoscibile.

— Padrone, — disse Urada, — vuoi un consiglio?...

— Parla, ragazza, — disse Alfredo.

— Manda mio padre ad Abomey ad esplorare il terreno e ad informarsi di ciò che si dice su questa ambasciata.

— L’idea è bellissima, Urada, ma può tuo padre lasciare Kana?

— È libero e può andare dove gli piace senza chiedere il permesso a chicchessia.

— Io gli darò uno dei nostri cavalli e dell’oro. Può esserci molto utile nella capitale, può farci avvertire se Kalani ha dei sospetti su di noi e darmi anche notizie di mio fratello.

— E preparare ogni cosa per poterlo rapire, — aggiunse Urada. — Mio padre ha conservato delle amicizie in Abomey, può avvicinare dei dignitari del re e può quindi avere delle informazioni che possono esserti preziose.

— Accetterà il difficile incarico?...

— Mio padre farà tutto quello che desiderano i salvatori di sua figlia.

— Grazie, brava ragazza. Non ci eravamo ingannati sulla tua affezione. —

Urada espose al vecchio negro il desiderio degli uomini bianchi.

— Domani all’alba, parto, — rispose egli. — Gli uomini bianchi possono contare interamente su di me. —

Alfredo, lieto di quella risposta, fece bardare uno dei cavalli, consegnò al negro un gruzzolo d’oro che poteva scambiare in kauri ed una rivoltella con cinquanta cariche, arma che poteva essergli di grande aiuto nella pericolosa missione.