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220 Capitolo trentesimo

Alfredo ed il portoghese avevano gettato un rapido sguardo su tutti quei negri impettiti e orgogliosi, che si pavoneggiavano nelle loro larghe e variopinte vesti ricamate d’oro, credendo di scorgere fra di loro Kalani, ma non lo videro.

— Meglio così, — disse Alfredo a voce bassa, rivolgendosi ad Antao.

— Che sia col re? — chiese questi.

— Lo credo.

— Allora ci sarà lontano.

— Lo vedremo sull’altra piattaforma. Il posto del re è là, poichè vedo che stanno aprendo il grande parasole reale.

— È una vera cupola; i nostri fanno una ben meschina figura nel paragone. —

Alcuni cabeceri, aiutati da una mezza dozzina di negri, avevano portato l’ombrello reale e l’avevano aperto per riparare dagli ardenti raggi del sole S. M. negra.

Era di dimensioni veramente gigantesche, di stoffa rossa con frange bianche e su di un lato si vedeva dipinto un mostruoso coccodrillo colle mascelle aperte, lo stemma della casa reale del Dahomey.

Quasi subito i clamori della folla si spensero ed un silenzio profondo, che aveva un non so che di pauroso, successe come per incanto.

— Cosa sta per succedere? — chiese Antao ad Alfredo.

— Sta per comparire il re, — rispose il cacciatore.

— Il gran macellaio!...

— Taci, imprudente. —

Una porta aperta nella grossa parete della cinta e che comunicava colla piattaforma, si era aperta e S. M. negra era comparsa, seguìta da una dozzina di cabeceri e di gran moci e da uno stuolo di stregoni e di guardiani dei templi, recanti i feticci prediletti di Geletè, dei mostri di creta dorata che avevano le bocche aperte, dei serpenti pure di creta dorata di dimensioni enormi e certi fantocci che volevano rassomigliare ad esseri umani, ma che invece del capo avevano dei becchi d’uccelli di rapina.

Il feroce monarca aveva il viso quasi interamente nascosto da una specie di turbante di seta verde ricamata in oro ed il corpo avvolto in un ampio mantello di seta bianca, stretto alla cintura da una fascia di lamine d’oro.