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I tenebrosi disegni del cabecero di Geletè 39

— Sì, padrone.

— Ma credi tu che quel ragazzo fosse proprio necessario ai feticci?... O che invece quel miserabile Kalani abbia qualche sinistro progetto?...

— Lo ha, — disse la negra. — Io conosco assai Kalani, so il motivo del suo odio verso di te e non ignoro i suoi progetti.

— Parla, ti prego.

— Kalani aveva la certezza di non poterti sorprendere, sapendoti un uomo capace di tenere testa a cento dei nostri uomini. Credo che avesse anzi molta paura di trovarsi di fronte a te. Da due settimane ti sorvegliava, ma non osava assalirti. Avendo appreso che tu dovevi recarti alla caccia sull’Ouzme, approfittò per assalire la tua fattoria e rapirti il fratello, affidando ad alcuni uomini coraggiosi l’incarico di tenderti un agguato in mezzo ai boschi.

— Ma era me che odiava e non quel povero ragazzo. Perchè prendersela con lui?...

— Per avere poi te.

— Cosa vuoi dire?...

— Kalani è astuto, padrone. Egli sa che non sei uomo da lasciare tuo fratello nelle sue mani.

— E mi aspetta nel Dahomey?

— Sì, padrone.

— Ha indovinato. Sì, io andrò nel Dahomey a salvare il mio Bruno, ma andrò anche per uccidere il rapitore.

— Bada, padrone, alla frontiera ti aspetteranno.

— Ma non mi vedranno.

— Cosa vuoi dire?

— Lo saprai più tardi. Prima bisogna che vada a vedere Tofa. —

Due ore dopo, avendo fatte alcune soste per riposarsi, giungevano ad un gruppo di capanne abitate da una dozzina di negri fra uomini e donne, i quali avevano già avuto frequenti rapporti colla fattoria d’Alfredo.

Avevano già saputo della disgrazia toccata all’uomo bianco, anzi avevano udite le scariche degli assalitori ed avevano vedute le fiamme dell’incendio, senza però ardire di accorrere in aiuto degli assaliti, essendo quasi sprovvisti d’armi e temendo troppo i dahomeni.

Alfredo ed i suoi compagni furono accolti con franca e cor-