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64 Capitolo nono

contro la carabina, mentre uno dei dahomeni la percuoteva poderosamente con un grosso tizzone ardente, coprendola di scintille.

Ferita forse gravemente e spaventata da quella pioggia di fuoco, fece un rapido voltafaccia, attraversò la radura a gran balzi e scomparve nella foresta salutata da altri due colpi di fucile, ma i proiettili non parve giungessero a destinazione.

— Morte di Giove!... — esclamò Antao. — Un momento di esitazione e la mia zucca sarebbe a quest’ora fra le mascelle di quell’indemoniata bestia.

— E faccio i miei elogi al tuo sangue freddo, — disse Alfredo, che aveva tremato per l’amico. — Un cacciatore di professione avrebbe mancato al colpo o si sarebbe dato alla fuga.

— Ci tenevo alla mia pelle, — rispose Antao, sorridendo. — Per Bacco!... Che salti e che attacco!... E dove sarà fuggita la leonessa?... Le ho scaricata la carabina nella bocca, ma credo di averle solamente fracassata una mascella.

— Sarà tornata al suo covo.

— Che non ci assalga più?...

— Non oserà ritornare.

— Se nella sua ritirata incontrasse almeno le spie e si rifacesse coi polpacci di quelle!...

— Si saranno messe in salvo sugli alberi fino dai primi ruggiti.

— Ma il tuo leone si cuoce, Alfredo. Mi rincresce perdere la sua pelle.

— Ormai è rovinata. Lascia che si cucini e prendiamo il sonno.

— Sarà un po’ difficile riaddormentarsi. Ho ancora i nervi scombussolati.

— Si calmeranno, Antao. Orsù, cacciati sotto la tenda. —

I due bianchi, certi ormai di non venire più disturbati, riguadagnarono i loro giacigli di fresche erbe, mentre Asseybo ed il dahomeno rizzavano nuovamente le casse e riaccendevano il falò spento dal leone.

Il rimanente della notte passò tranquillo. Solamente verso le due del mattino alcune iene osarono avvicinarsi furtivamente al campo, attirate dall’odore che aveva sparso il leone nell’arrostirsi l’addome sui tizzoni, ma bastò un colpo di fucile per costringerle a riguadagnare la foresta.