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LA SOVRANA DEL CAMPO D'ORO 49

gnere. — Ah!... Il treno rallenta!... Dobbiamo essere vicini a Mojave, dove ci fermeremo.

— A lungo? — chiese miss Annie.

— Non ripartiremo che domani alle quattro. La macchina deve rifornirsi ed i macchinisti hanno un riposo di sedici ore. Andremo in un albergo; si dice che anche a Mojave le comodità non manchino.

— Che ore sono, signor Harris? — chiese Annie.

— Sono appena le tre pomeridiane. Signor Blunt, prendete anche voi qualche valigia.


VII


Il vaquero


Mentre il treno correva, e l’ingegnere, lo scrivano e miss Annie ingannavano alla meglio il tempo chiacchierando, mastro Simone era sempre rimasto silenzioso, rincantucciato in un angolo del suo scompartimento.

I cinque negri invano si erano provati a farlo uscire dal suo mutismo, poi, accortisi che avrebbero perduto inutilmente il tempo, si erano messi a giuocare ai dadi senza più preoccuparsi del loro padrone.

Qualche progetto doveva però maturarsi nel cervello dell’ercole, a giudicare dalle contrazioni del viso e dai lampi che, di quando in quando, balenavano nei suoi grandi occhi di porcellana.

Ed infatti il treno aveva appena oltrepassata la piccola stazione di Varde, quando con un pugno formidabile, che per poco non mandò in pezzi una sedia a dondolo, egli richiamò a sè l’attenzione dei suoi compagni.

— Ecco il colpo!... — esclamò, aprendo la sua larga bocca irta di denti come quella d’un caimano o d’un gaviale.

— Quale colpo? — chiesero ad una voce Sam e Zim, mettendo precipitosamente in tasca i dadi e le poste.

— Siete una massa d’asini! — gridò Simone. — Giovanotti miei, voi avete la testa un po’ dura.

— È vero, — confessò ingenuamente Zim.

— Però abbiamo il pugno solido, — credette di aggiungere Sam.

— Non me ne avete ancora data la prova.

— Te la daremo presto, padrone, — rispose Sam. — Giacchè parli d’un colpo...

— Taci, asino, ed ascoltami.

I cinque negri si erano seduti di fronte al Re dei Granchi, interrogandolo con gli sguardi.

Metre voi, infingardi, giocavate, — rispose Simone, dopo