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Terra!... Terra!... 203

cielo, impedendo agli esploratori di fare il punto, cominciavano a rompersi, lasciando vedere, qua e là, qualche zona azzurra.

Il sole faceva capolino fra quegli strappi, facendo scintillare meravigliosamente i ghiacci che vagavano per quel mare infinito, avanguardia d’altri ben maggiori che stavano scendendo al di là dell’orizzonte.

Quei fasci di luce gialla, davano strane tinte a quei figli delle regioni pallide, facendo perdere loro il triste aspetto che sogliono avere quando il cielo è coperto di brume.

Taluni, percossi in pieno, parevano masse di bronzo ardente; altri sembravano piramidi di marmo, incrostate di opali enormi e di perle d’oriente; altri ancora avevano striature azzurre di cobalto, o verdi come gli smeraldi.

Intorno a loro l’acqua prendeva pure tinte strane: erano bagliori d’oro con linee di fuoco che tutto d’un tratto diventavano opache, con guizzi verdi, azzurri o bianchi, a seconda del rifrangersi dei raggi solari.

La Stella Polare, sfuggita al pericolo, s’avanzava fieramente su quel mare tranquillo, impaziente di avvistare le rive della Terra di Francesco Giuseppe.

Una leggera brezza, che soffiava da ponente, gonfiava le sue vele, spingendola sempre più al nord, nel mezzo di quell’Oceano Artico che rinserrava nel suo centro il misterioso polo.

L’equipaggio, disperso per la tolda, si godeva quel po’ di sole che da tanti giorni non aveva più veduto. Tutti erano di buon umore, eccettuati i cani che come al solito si azzuffavano ferocemente, mordendosi a sangue.

A prora, sul castello, i capi della spedizione osservavano attentamente l’orizzonte coi cannocchiali, per accertarsi se i grandi banchi erano ancora molto lontani. Parevano sorpresi di vedere il mare sgombro dopo d’aver fatto l’incontro del floe.

– Che cosa ne pensate signor Evensen? – domandò il tenente Querini.

– Io penso, signore, che la fortuna protegge la Stella Polare, – rispose il baleniere. – Gli altri anni difficilmente si trova il mare così sgombro in questi paraggi.