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Capitolo III

La caccia ai trichechi


Mentre l’equipaggio della Stella Polare, dopo d’aver assicurata la nave con due ancore, una verso il mare e l’altra verso le scogliere, ammonticchiava sulla tolda le provviste da recarsi poi a terra, ed il Duca e Cagni continuavano le loro osservazioni, i tre cacciatori si mettevano in cammino per andare a sorprendere i due trichechi o morse, come vengono chiamati quei grossi anfibi.

La distanza da percorrere non era molta, però la via era tutt’altro che facile, essendo rotta da crepacci, da rupi, da strati di nevischio in dissoluzione, in mezzo ai quali si affondava fino alle ginocchia.

Girando un piccolo vallone, i cacciatori poterono raggiungere un passaggio meno difficile, il quale doveva condurli in prossimità dei banchi sui quali giocherellavano, con piena sicurezza, i trichechi.

Vi era ancora della neve sul terreno, frammista a muschi ed a licheni, ma di già quasi disciolta, e sotto le rupi, al riparo dei freddi venti del nord, si scorgevano gruppetti di fiori, spuntati timidamente, per lo più papaveri e glycerie, d’aspetto graziosissimo. Ve n’erano però alcuni che colpirono subito la guida, facendogli dimenticare, per un momento, i due trichechi.

– Signore!... – esclamò, avvicinandosi verso un crepaccio e mostrando al tenente due fiorellini. – Voi avevate ragione quando poco fa mi dicevate che la flora alpina non era molto diversa da quella polare. Ecco qui due piante che crescono anche sulle nostre montagne.

– Se vi fosse qui il dottor Cavalli, che è il botanico della spedizione, le raccoglierebbe con piacere per mandarli poi in Italia, – disse il tenente. – Ma forse, a quest’ora, ne avrà raccolte anche lui di simili.

– Le conoscete signore?...

– Sì, una è la saxifraga oppositifolia e l’altro un papaver nudicante d’Islanda, piante che crescono anche sulle nostre Alpi1. Lasciamo



  1. Un esemplare di questo papavero si coltiva nel giardino della Chanousia sul pianoro del Piccolo San Bernardo.