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La baia di Tepliz 279


Quantunque il pericolo che correva la Stella Polare fosse grave, tutti gli uomini conservavano un sangue freddo ammirabile. Gli italiani anzi guardavano quello spettacolo più con curiosità che con apprensione.

S. A. R., il capitano Cagni e Querini davano comandi con voce tranquilla, come se non avessero fatto altro che navigare in quei mari, destando l’ammirazione dello stesso capitano Evensen.

Intanto la Stella Polare, sollevata dai ghiacci, continuava a spostarsi, inclinandosi a poco a poco su di un fianco. Tremava tutta ed i puntali si curvavano sotto le poderose strette, mentre la tolda s’inarcava.

Sui suoi fianchi i ghiacci continuavano ad accumularsi, ora innalzandosi ed ora abbassandosi. Vi fu anzi un momento in cui raggiunsero l’altezza di dodici metri!...

Guai se quelle masse fossero precipitate in coperta!... Già l’equipaggio, spaventato, aveva abbandonato i suoi posti, gettando i buttafuori non ostante le grida tranquillanti del Duca e dei suoi ufficiali.

Quando le pressioni finalmente cessarono ed i ghiacci cominciarono a riaprirsi, la Stella Polare si trovava così rovesciata su di un fianco da non permettere all’equipaggio di tenersi in piedi.

Un enorme blocco s’era incastrato sotto la chiglia e teneva la nave sollevata, impedendole di riprendere la sua posizione normale.

– Bisogna farlo saltare, – aveva detto S. A. R.

– Sì, – aveva risposto il capitano Evensen. – La nostra nave non può rimanere così inclinata. Una nuova pressione potrebbe succedere e guastarci le murate ed il fasciame. –

Polvere e dinamite non ne mancavano a bordo. Si trattava di scavare semplicemente una mina nel banco di ghiaccio e di farla scoppiare.

Alcuni marinai, sotto il comando d’un ufficiale, furono incaricati di fare le mine e di farle scoppiare.

La dinamite ebbe ben presto ragione del banco. Sgretolato dalla forza dell’esplosione, s’abbassò bruscamente, permettendo così alla nave di riprendere il primitivo appiombo.

Non era però finita. Pareva che per la Stella Polare dovesse so-