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I «fjords» della Norvegia 45


La Stella Polare, superata la punta estrema della penisola, si gettò fra i numerosi isolotti che formano il così detto Brend Sund, e che portano, i maggiori, i nomi di Guskö, di Hareid-land e di Sulo.

Numerosi fari indicano la via da tenersi durante la notte; fari, però, che durante la stagione estiva hanno una importanza molto limitata, non tramontando il sole, in quelle alte latitudini, che molto tardi, per alzarsi poi prestissimo.

Infatti, con grande stupore delle guide alpine e soprattutto di Canepa e di Cardenti, alle undici di sera ci si vedeva benissimo sul ponte della nave, e la notte vera non durava che pochissime ore, appena tre o quattro. Alle dieci e mezzo pomeridiane, luna e sole si facevano la corte, mescolando le loro luci, ed il mare scintillava sotto i biondi raggi di Febo.

– Pare impossibile! – esclamava Cardenti. – Si direbbe che in questo paese il sole non ha sonno. Se la continua di questo passo, io finirò col non dormire più! –

Alla sera – sera per modo di dire – la Stella Polare, che bruciava carbone senza risparmio, frettolosa di raggiungere le coste settentrionali della Norvegia, navigava nelle acque di Christiansund, una bella cittaduzza costruita su di un isolotto cacciato fra le due isole maggiori di Averò e di Tuisteran.

– Siamo già a buon punto, – disse il capitano Evensen, volgendosi verso l’ingegnere di macchina che passeggiava a prora, a fianco del tenente Querini.

– Lo credo anch’io, – rispose il signor Stökken. – Non siamo invece ancora a buon punto della vostra storia.

– È vero, – rispose il capitano, sorridendo, – ma S. A. R. ha bisogno di me questa sera. Dobbiamo fare delle osservazioni meteorologiche e magnetiche assieme ai suoi ufficiali.

– Voi, forse, volevate raccontare l’avventura toccata al capitano Namdal? – chiese Andresen il quale li aveva raggiunti.

– Sì.

– La conosco anch’io, capitano, – disse il mastro. – Avevo un mio parente a bordo di quel legno.

– Allora non perderete nulla, signor Stökken. Andresen è un buon narratore.