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La morte del cubano 233

— Partiamo!...

— Subito? — chiesero la marchesa ed il capitano Carrill.

— La torpedine è scoppiata ed il canale è libero.

— E se gl’insorti ne avessero collocate più d’una?... — chiese la marchesa. — Hai pensato a questo, Cordoba?

— Sì, donna Dolores ed ho pure pensato che se noi non usciamo ora, forse non lo potremo più mai. Mettiamoci nelle mani di Dio e confidiamo nella nostra fortuna. Macchinista!...

— Signore!...

— Abbiamo la massima pressione?...

— La macchina è pronta.

— Sgombrate tutti il ponte!... Qui, fra poco, grandineranno le palle. Donna Dolores, capitano, nel quadro!...

— E tu, Cordoba?... — chiese la marchesa.

— Io sarò nella torretta con Colon per guidare l’Yucatan.

— Io voglio essere al tuo fianco, Cordoba.

— No, donna Dolores.

— Si tratta di guidare la mia nave, Cordoba.

— Non posso permetterlo, d’altronde non vi è spazio per tre persone e solo Colon conosce il canale. Via, sgombrate! —

In un lampo tutti obbedirono. Cordoba prese un fucile che aveva prima deposto contro la murata poppiera e si cacciò nella torretta, dove già si trovava Colon, tenendo in mano la ruota del timone.

— Avanti!... — gridò, curvandosi sul portavoce che metteva capo nella sala delle macchine. — A dieci nodi!... —

L’elica si mise tosto in movimento, facendo spumeggiare le acque della caverna e l’Yucatan si diresse arditamente verso l’uscita dell’ampia caverna, slanciandosi bruscamente nel canale.

Non producendo la sua macchina fumo ed essendo stati spenti tutti i fanali, subito nessuno s’accorse della sua uscita. Il fragore prodotto dalle eliche che mordevano le acque non doveva però tardare a tradirlo.

Difatti era giunto a metà del primo canale, quando sull’alto di uno degli scogli si udì a gridare:

— Ohe!... Non vedete laggiù un’altra nave che fugge?... —

A quelle parole tenne dietro un breve silenzio, poi scoppiarono improvvisamente delle vociferazioni spaventevoli. Solo in quel momento, ma forse troppo tardi per pensare ad arrestarlo con qualche altro formidabile ordigno di distruzione, gl’insorti si erano accorti d’aver torpedinata una zattera o qualche cosa di simile, invece del Yucatan. Resi furiosi da quell’inganno, si misero a sparare all’impazzata, scaricando fucili e tromboni, mentre altri loro compagni facevano piovere nel canale una grandine di sassi.

La nave, quantunque bersagliata, continuava la sua corsa senza rispondere. Le palle non potevano produrre alcun danno, arre-