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238 i cacciatori di foche della baia di baffin


Fra la semi-oscurità vide sopra di sè una testaccia con un’enorme bocca aperta che pareva pronta a stritolargli il cranio e si sentì giungere in viso un alito caldo e fetente.

Mastro Tyndhall, lo si sa, era coraggioso, ma in quel momento si sentì rizzare i capelli e bagnarsi d’un freddo sudore. Nondimeno non si perdette d’animo, sapendo di aver alle spalle i compagni.

Lasciò cadere il fucile che non gli poteva più servire e puntando un ginocchio contro il ventre della fiera, con uno sforzo irresistibile riuscì ad allentare la stretta mortale e ad impugnare la scure.

Un coltello lo avrebbe servito meglio, ma in mancanza di quest’arma, neanche la scure era da disprezzarsi.

Si mise a percuotere furiosamente il mostro, cercando di colpirlo sul muso, mentre gridava con voce tuonante:

– A me!... Compagni, a me!...

L’orso, sospettando la presenza di altri avversarii, si gettò sul mastro a corpo perdente e riuscì a riafferrarlo, cercando di mordergli il cranio, ma l’intrepido cacciatore di foche respingeva con sovrumana energia il muso.

In quell’istante i suoi compagni, preceduti da Charchot e da Fox, giungevano.

– Corna di caribou!... esclamò il marinaio. Presto, passatemi un rampone!...

Appena ebbe impugnata l’arma si precipitò innanzi. Essendo la galleria ristretta, non poteva assalire l’orso a tergo, ma non si trovava imbarazzato a maneggiare il rampone.

– Abbassate la testa, mastro!... gridò.

Poi alzò l’acuta arma e la cacciò, con uno sforzo poderoso, fra le fauci spalancate del mostro.