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capitolo xiv — la caverna delle morse | 241 |
assalire e cadevano dibattendosi fra le strette dell’agonia.
Mastro Tyndhall inebbriato dall’odor della polvere, tuonava senza posa:
– Fuoco camerati!... Le morse sono nostre!...
E la carneficina continuava con maggior rabbia entro la cupa caverna che rimbombava tutta.
Già cinquanta o sessanta animali giacevano a terra, quando i più vecchi maschi decisero di forzare il passo, forse colla speranza di raggiungere l’orlo del bacino.
Si misero a strisciare in ranghi compatti, coi peli irti, le zanne tese innanzi, muggendo spaventosamente e facendo sforzi disperati per giungere presto dinanzi alle rocce, ma i marinai non erano uomini da spaventarsi.
Gettarono le armi da fuoco e impugnarono i ramponi e le scuri.
– Picchiate duro!... urlò mastro Tyndhall, abbattendo un maschio colossale, con un terribile colpo di scure. Attenti alle zanne!...
Si scagliarono tutti in mezzo ai ranghi ferendo, picchiando, colpendo a destra ed a sinistra. I poveri animali, grondanti sangue, cercavano di opporre una inutile resistenza e cadevano a gruppi.
Avevano da fare coi più valenti cacciatori di foche della baia di Baffin e non potevano far fronte a quell’assalto impetuoso.
La strage continuò fino a che i marinai, stanchi di uccidere, nauseati dall’acre odore del sangue, s’arrestarono.
Non rimanevano in piedi che pochi maschi, una ventina tutt’al più. Quei pochi superstiti, vedendo libero il passo, s’affrettarono a strisciare fino al margine del bacino e vi si lasciarono cadere dentro con grande fragore, inabissandosi nelle oscure acque.