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70 i naufraghi dello spitzberg


Con alcuni pezzi di legno strappati dalle pareti formarono alla meglio alcune barelle, vi si collocarono coloro che lo scorbuto aveva ridotto in uno stato di debolezza da non potersi sorreggere, poi tutti scesero la costa abbandonando, senza rimpianto, quell’abituro meschino che doveva diventare la tomba degli ultimi superstiti del Gotheborg.

Sui banchi, il numeroso drappello si unì agli altri cinque marinai della Torpa ed ai naufraghi della Tornea, quindi tutti si misero in marcia verso lo sbocco dell'Eis-fiord, tirando e spingendo le due slitte e portando gli ammalati.

La neve non era cessata, anzi cadeva con maggior rabbia, volteggiando vorticosamente sotto le raffiche del vento polare, ed il freddo era così acuto, che l’alito di quegli uomini si gelava attorno ai baffi e alle barbe in forma di sottilissimi aghi.

I ghiacci non erano più tranquilli. Quel rapido abbassamento di temperatura aumentava il loro volume, producendo delle pressioni irresistibili.

Tuonavano sordamente sotto i piedi dei marinai, poi muggivano come sotto di essi soffiasse un vento formidabile, scricchiolavano, si fendevano, poi si riunivano rialzando i margini. Talora invece su quei banchi si formavano delle screpolature concentriche e poco dopo si aprivano sbalzando in aria blocchi di ghiaccio, si slanciavano fuori colonne o piramidi che subito precipitavano con cupi rimbombi.

Tompson, le cui inquietudini crescevano, incoraggiava tutti ad affrettare la marcia.

– Presto presto, ripeteva, o non potremo più giungere alla Torpa.

Erano già giunti presso l’isolotto su cui erano stati