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cap. ix. — i cacciatori d’elefanti 127


Gli elefanti, i quali hanno un olfatto finissimo, dovevano aver fiutato i due cacciatori, perchè si erano uno dopo l’altro alzati, scrollando gli orecchi e facendo udire dei sordi barriti.

— Sono inquieti — disse Durga.

— Ed i due cingalesi lo saranno egualmente.

— Io credo il contrario.

— Li vedremo quei due pazzi!

I due cacciatori si erano arrestati e quello che guidava il cavallo aveva puntato il razzo, accostandovi la miccia.

Subito un getto di fuoco attraversò lo spiazzo sibilando e scoppiò con fragore in mezzo agli elefanti, i quali si precipitarono a destra e a sinistra, barrendo spaventosamente e fuggendo all’impazzata.

Solamente uno, che non si era ancora alzato, era rimasto fermo, come istupidito.

Subito il cavallo si era slanciato, mentre colui che lo guidava, gridava a piena gola:

— Io mi chiamo Sciamì, ecco il mio cavallo che si chiama Kisso ed ho ucciso tuo padre sul fiume Mara e tuo nonno in questo bosco. Ora vengo a ucciderti, perchè tu non sei che un asino in paragone di tuo padre.

I cacciatori d’elefanti, credono in buona fede che quegli animali comprendano quelle offese, perchè li vedono subito montare in furore.

Dopo che Sciamì ebbe pronunciate quelle parole, il cavallo, guidato con maestria impareggiabile si era messo a correre vertiginosamente intorno al pachiderme rimasto isolato dal branco.