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120 capitolo decimoterzo.


e altri galleggiavano attorno ai canotti, celebrarono la loro vittoria con tre urli potenti ai quali risposero i guerrieri affollati sulla spiaggia. Era l’annuncio che il vascello era stato vinto e l’arrosto di carne umana guadagnato!...

Però l’arrosto doveva essere ancora lontano, poichè i marinai salvatisi sulle antenne, sulle coffe e sulle crocette tenevano tuttora le loro armi, e risposero alle grida di vittoria con due scariche micidiali che gettarono a terra parecchi altri assalitori.

I cannibali non si spaventarono per questo e diedero furiosamente l’attacco all’alberatura tentando di salire sulle griselle e sui paterazzi; ma la partita non era eguale, e molto sangue doveva loro costare prima di snidare i difensori. Ogni uomo che cercava di salire stramazzava sul ponte con una palla nel corpo, e nel cadere si spezzava le gambe o le braccia, o si spaccava il cranio.

Ben comprendendo che non sarebbero mai riusciti a raggiungere i difensori finchè a questi duravano le palle e la polvere, cambiarono tattica e assalirono gli alberi colle scuri trovate sul ponte. Tagliati gli alberi, dovevano per conseguenza cadere anche i marinai: non era che questione di pochi minuti, forse d’un quarto d’ora.

Già i marinai si ritenevano per perduti, quando si udì ancora la voce di Bill, che saliva dalle nere profondità della stiva:

— Su, su, tigre! — gridava egli sghignazzando. — Avanti, agnellina mia! Lassù vi è un buon pasto da fare! —

Un istante dopo, una tigre enorme, la più grande delle dodici che si trovano chiuse nelle gabbie, si slanciava fuori dal boccaporto maestro, piombando in mezzo ai selvaggi esterrefatti.

Parve dapprima sorpresa di trovarsi in così numerosa compagnia; poi, aizzata dall’odore del sangue che bagnava la coperta della nave e obbedendo ai suoi istinti feroci, si scagliò contro gli assalitori