Pagina:Salgari - Un dramma nell'Oceano Pacifico.djvu/166

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160 capitolo decimosettimo.


— Vuoi abbruciarti? — gli chiese Asthor. — Là dentro fa molto caldo, mio caro.

— Noi siamo di pelle dura, — rispose Mac Bjorn con un sogghigno. — Andiamo, amici!...

Bill e i compagni, nonostante i vortici di fumo, discesero dal boccaporto di maestra, mentre l’equipaggio americano si sparpagliava pel ponte onde riunire i barili d’acqua e le casse di biscotti e di carne salata, che avevano levate dalla camera comune, prima che il fuoco la invadesse.

Il capitano Hill, Asthor, i gabbieri Mariland, Grinnell e Fulton si portarono a poppa per rimorchiare le due scialuppe, le sole che ormai rimanevano, sotto la scala di tribordo.

Già stavano per ritirare le gomene, quando in fondo alla stiva si udirono urla feroci e ruggiti formidabili.

Il capitano rabbrividì.

— Gran Dio! — esclamò. — Che le tigri abbiano spezzate le gabbie?

— È impossibile, — rispose il pilota. — A meno che qualcuno... —

Non finì. Due marinai che erano scesi nel frapponte sperando di aiutare i naufraghi nelle loro ricerche, si slanciarono in coperta coi capelli irti, i volti disfatti da un terrore impossibile a descriversi, gridando con voce disperata:

— Le tigri!... Si salvi chi può.

— Tradimento! — urlò una voce.

Poi, attraverso il fumo ed ai bagliori dell’incendio, si videro irrompere sul ponte, con un balzo gigantesco, le dodici tigri, ma libere, affamate di carne umana, furibonde per la lunga prigionia, più terribili di un migliaio di antropofagi!

L’assalto fu irresistibile e mostruoso. Balzando attraverso alle