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l'assalto delle tigri. 161


fiamme e al fumo, piombarono fra l’equipaggio americano che era inerme, e a cui il terrore aveva paralizzate le forze.

Una scena spaventevole accadde allora sul ponte del disgraziato veliero. Gli uomini che non pensavano nemmeno a fuggire, tanto era stato inaspettato quel brutale assalto, cadevano a due, a tre alla volta, atterrati dai potenti artigli delle belve o stritolati da quelle formidabili mascelle.

Per alcuni istanti si udirono urla disperate, invocazioni, gemiti, rantoli e ruggiti, poi due colpi di pistola e la voce del capitano Hill che tuonava:

— Sugli alberi!... Salvatevi sugli alberi!... Anna!... Anna, barricati nella cabina!...

Unendo alle parole i fatti, il capitano si aggrappò d’un balzo alle griselle dell’albero di mezzana e s’inerpicò fino alla crocetta con fantastica rapidità. Due uomini lo raggiunsero tosto; erano il pilota e il gabbiere Grinnell.

— Il mio equipaggio! — gridò il capitano che si strappava i capelli. — Anna!... O mia Anna!...

— Tradimento! — esclamò il pilota. — Ah! Miserabile Bill!

— Datemi un fucile, almeno! — esclamò il disgraziato comandante piangendo di rabbia. — Fulton, Mac-Land, O’Riel, Mariland, ove siete voi, gran Dio!

— Tutti perduti! — rispose Grinnell, che era bianco come un cencio lavato.

— Ah! Miserabili forzati!...

— Sì, sono stati loro che hanno aperto le gabbie, — disse il vecchio marinaio, che piangeva come il capitano.

— Ah! Vi strapperò il cuore! — gridò l’americano con odio profondo. — Vedi nessuno sull’albero di maestra, Asthor?