Pagina:Sannazaro - Arcadia, 1806.djvu/108

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mi, se gli Dii nelle braccia ti rechino della desiata donna, quali furo a quelle rime, che non molto tempo è ti udii cantare nella pura notte? delle quali, se le parole non mi fossero uscite di mente, del modo mi ricorderei: e io in guidardone ti donerò questa sampogna di sambuco, la quale io con le mie mani colsi tra monti asprissimi, e dalle nostre ville lontani, ove non credo, che voce giammai pervenisse di mattutino gallo, che di suono privata l’avesse: con la quale spero che, se dalli fati non ti è tolto, con più alto stile canterai gli amori di Fauni e di Ninfe nei futuro: e siccome insino qui i principj della tua adolescenza hai tra semplici e boscherecci cauti di pastori infruttuosamente dispersi, così per lo innanzi la felice giovenezza tra sonore trombe di poeti chiarissimi del tuo secolo non senza speranza di eterna fama trapasserai; e questo detto si tacque; ed io l’usala lira sonando così cominciai.


ANNOTAZIONI

alla Prosa Settima.


Napoli . . . . la quale da’ popoli di Calcidia venuti ec. Le tre Sirene, Partenope, Ligia e Leucosia, figliuole del fiume Acheloo, e della Ninfa Calliope, non avendo potuto colla dolcezza del loro canto trarre a se Ulisse, pel dolore si gettarono in mare. Partenope fu poi portata, dove si edificò Napoli, che prima venne chiamata Partenope, dai Calcidici, ch’erano di Negroponte, città principale dell’isola Eubea. I Cumani, distrussero Partenope, e per consiglio dell’oracolo d’Apollo, la riedificarono più splendidamente di prima, chiamandola Neapolis, cioè nuova città.