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Quand’io le vidi, oimè, sì amiche starnosi,
Se respirai non so; ma il duol sì avvinsemi,
Ch’appena in terra i piè potean fermarnosi.
Dirollo, o taccio? in tanto il duol sospinsemi,
Ch’io fui per appiccarmi sovra un platano,
Ed Ifi innanzi agli occhi Amor dipinsemi.

Eugenio.

A quanti error gli amanti orbi non guatano!
Col desìo del morir la vita sprezzano;
Tanto a ciascun le sue sciocchezze aggratano.
E pria mutano il pel, poi che s’avvezzano,
Che mutin voglia; tal che un dolce ridere,
Ed un bel guardo più che un gregge apprezzano.
Talor per ira o sdegno volno incidere
Lo stame che le Parche al fuso avvolgono;
E con amor da se l’alma dividere.
Braman tornare addietro, e non si volgono;
Nè per foco ardon, nè per gielo agghiacciano;
Ma senza alcun dolor sempre si dolgono.
Cercan fuggire Amore, e pur lo abbracciano;
Se questa è vita, o morte, io non comprendola,
Che chiaman libertade, e più s’allacciano.

Clonico.

Pur mi si para la spietata Amendola
Dinanzi agli occhi, e par ch’al vento movasi
La trista Filli esanimata e pendola.
Se spirto al mondo di pietà ritrovasi,
Per Dio quest’alma liberar consentami:
Che miglior vita del morir non provasi.
O terra, tu che puoi, terra, contentami:
Tranghiotti il tristo corpo in le tue viscere,
Sì ch’uom mai non ne trove orma, nè sentami.
O folgori che fate il ciel tremiscere,
Venite a quel che ad alta voce chiamavi,
E vuol, se può, di disamare addiscere.