Pagina:Sannazaro - Arcadia, 1806.djvu/133

Da Wikisource.

103

Correte, o fiere, a quel che tanto bramavi,
E voi, pastor, piangete il tristo esicio
Di quel che con sua morte tutti infamavi.
Voi userete in me il pietoso officio;
E fra cipressi mi farete un tumulo,
Che sia nel mondo di mia morte indicio.
Allor le rime ch’a mal grado accumulo,
Farete meco in cenere risolvere,
Ornando di ghirlande il mesto cumulo.
Allor vi degnerete i passi volvere
Cantando al mio sepolcro: allor diretemi:
Per troppo amar altrui, sei ombra e polvere.
E forse alcuna volta mostreretemi
A quella cruda ch’or m’incende e struggemi,
E ’ndarno al sordo sasso chiameretemi.

Eugenio.

Un orso in mezzo l’alma, un leon ruggemi,
Clonico mio, sentendo il tuo rammarico,
Che quasi d’ogni vena il sangue suggemi.
E s’io le leggi al tuo signor prevarico,
Prendi il consiglio del tuo fido Eugenio,
Che vivrai lieto, e di tal peso scarico.
Ama il giocondo Apollo, e ’l sacro Genio,
Ed odia quel crudel che sì ti strazia,
Ch’è danno in gioventù, vergogna al senio,
Allora il nostro Pan colmo di grazia,
Con l’alma Pale aumenterà ’l tuo numero,
Tal che la mente tua ne fia ben sazia.
E non ti sdegnerai portar su l’umero
La cara zappa, e pianterai la neputa,
L’asparago, l’aneto e ’l bel cucumero.
E ’l tempo sol in ciò disponi e deputa;
Che non s’acquista libertà per piangere;
E tanto è miser l’uom, quant’ei si reputa.