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I bifolchi e i paslor lascian Esperia,
Le selve usate, e le fontane amabili;
Che ’l duro tempo glie ne dà materia.
Erran per alpe incolte, inabitabili,
Per non veder oppresso il lor peculio
Da genti strane, inique, inesorabili.
Le qua’ per povertà d’ogni altro edulio,
Non già per aurea età, ghiande pascevano
Per le lor grotte dall’agosto al giulio.
Vivon di preda qui, come solevano
Far quei primi pastor nei boschi Etrurii:
Deh ch’or non mi sovvien qual nome avevano!
So ben che l’un da più felici augurii
Fa vinto, e morto, or mi ricorda, Remo,
In su l’edificar de’ lor tugurii.
Lasso, che ’n un momento io sudo e tremo,
E veramente temo d’altro male;
Che si de’ aver del sale in questo stato;
Perchè ’l comanda il fato e la fortuna.
Non vedete la luna inecelissata?
La fera stella armata di Orione?
Mutata è la stagione, e ’l tempo è duro:
E già s’attuffa Arturo in mezzo Fonde,
E ’l sol, ch’a noi s’asconde, ha i raggi spenti;
E van per l’aria i venti mormorando;
Nè so pur come o quando torne estate.
E le nubi spezzate fan gran suoni.
Tanti baleni e tuoni han l’aria involta,
Ch’io temo un’altra volta il mondo pera.
O dolce primavera, o fior novelli,
O aure o arboscelli o fresche erbette,
O piagge benedette, o colli o monti,
O valli o fiumi o fonti o verdi rive,
Palme lauri ed olive, edere e mirti;
O gloriosi spirti degli boschi;