Pagina:Sannazaro - Arcadia, 1806.djvu/181

Da Wikisource.

151

O Eco, o antri foschi, o chiare linfe,
O faretrate Ninfe, o agresti Pani,
O Satiri e Silvani, o Fauni e Driadi,
Najadi ed Amadriadi, o Semidee,
Oreadi e Napee, or siete sole.
Secche son le viole in ogni piaggia:
Ogni fiera selvaggia, ogni uccelletto
Che vi sgombrava il petto, or vi vien meno,
E ’l misero Sileno vecchiarello
Non trova l’asinelio ov’ei cavalca.
Dafni, Mopso e Menalca, oimè, son morti.
Priapo è fuor degli orti senza falce,
Nè ginepro nè salce è che ’l ricopra.
Vertunno non s’adopra in trasformarse.
Pomona ha rotte e sparse le sue piante;
Nè vuol che le man sante potin legni.
E tu, Pale, ti sdegni per l’oltraggio,
Che di april nè di maggio hai sacrifizio:
Ma s’un commette il vizio, e tu noi reggi,
Che colpa n’hanno i greggi de’ vicini?
Che sotto gli alti pini, e i dritti abeti.
Si stavan mansueti a prender festa
Per la verde foresta a suon d’avena;
Quando per nostra pena il cieco errore
Entrò nel fiero core al neghittoso.
E già Pan furioso con la sauna
Spezzò l’amata canna; ond’or piangendo
Se stesso riprendendo, Amor lusinga;
Che della sua Siringa si ricorda.
Le saette la corda l’arco e ’l dardo,
Ch’ogni animal fea tardo, omai Diana
Dispregia, e la fontana ove il protervo
Atteon divenne cervo; e per campagne
Lassa le sue compagne senza guida;
Cotanto si disfida omai del mondo,