Pagina:Sannazaro - Arcadia, 1806.djvu/214

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bel pegno. Ma venuta la oscura notte pietosa delle mondane fatiche a dar riposo agli animali, le quiete selve tacevano: non si sentivano più voci di cani, nè di fiere, nè di uccelli: le foglie sovra gli alberi non si moveano: non spirava vento alcuno: solamente nel cielo in quel silenzio si potea vedere alcuna stella o scintillare, o cadere: quando io, non so se per le cose vedute il giorno, o che che se ne fosse cagione, dopo molti pensieri, sovrappreso da grave sonno, varie passioni e dolori sentiva nell’animo: perocchè mi pareva, scacciato da’ boschi e da’ pastori, trovarmi in una solitudine da me mai più non veduta, tra deserte sepolture, senza vedere uomo, che io conoscessi; onde io volendo per paura gridare, la voce mi veniva meno, nè per molto che io mi sferzassi di fuggire, possea estendere i passi; ma debole, e vinto mi rimaneva in mezzo di quelle. Poi pareva che stando ad ascoltare una Sirena, la quale sovra uno scoglio amaramente piangeva, una onda grande del mare mi attuffasse, e mi porgesse tanta fatica nel respirare, che di poco mancava ch’io non morissi. Ultimamente un albero bellissimo di arancio, e da me molto coltivato, mi parea trovare tronco dalle radici, con le frondi, e i fiori, e i frutti sparsi per terra; e dimandando io, chi ciò fatto avesse, da alcune Ninfe, che quivi piangevano, mi era risposto: Le inique Parche con le violente scure averlo tagliato. Della qual cosa dolendomi io forte, e dicendo sovra lo amato troncone: Ove dunque mi riposerò io? sotto qual’ombra omai canterò i miei versi? mi era dall’un de’ canti mostrato un nero e funebre