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Pagina:Sannazaro - Arcadia, 1806.djvu/234

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Qual fiera sì crudel, qual sasso immobile
Tremar non si sentisse entro le viscere
Al miserabil suon del canto nobile?

Barcinio.

E’ ti parrà che ’l ciel voglia dehiscere,
Se sentrai lamentar quella sua citara,
E che pietà ti roda, amor ti sviscere:
La qual, mentre pur Filli alterna ed itera,
E Filli i sassi, i pin Filli rispondono,
Ogni altra melodia dal cor mi oblitera.

Summonzio.

Or dimmi, a tanto umor che gli occhi fondono,
Non vide mover mai lo avaro carcere
Di quelle inique Dee che la nascondono?

Barcinio.

O Atropo crudel, potesti parcere
A Filli mia, gridava, o Cloto, o Lachesi,
Deh consentite omai ch’io mi discarcere.

Summonzio.

Moran gli armenti, e per le selve vachesi;
In arbor fronda, in terra erba non pulule;
Poi che è pur ver che ’l fiero ciel non plachesi.

Barcinio.

Vedresti intorno a lui star cigni ed ulule,
Quando avvien che talor con la sua lodola
Si lagne; e quella a lui risponda ed ulule.
Ovver quando in su l’alba esclama, e modola:
Ingrato sol, per cui ti affretti a nascere?
Tua luce a me che vai, s’io più non godola?
Ritorni tu, perch’io ritorne a pascere
Gli armenti in queste selve? o perchè struggami?
O perchè più ver te mi possa irascere?
Se ’l fai ch’al tuo venir la notte fuggami,
Sappi che gli occhi usati in pianto e tenebre
Non vo che ’l raggio tuo rischiare, o suggami.