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monti e tognetti | 83 |
Curzio all’appressarsi del monsignore si arretrò alquanto, e lo fissò con quell’occhiata di schifo e di diffidenza, che suol volgersi ad un rettile velenoso.
Il prelato si arrestò, curvò la testa, rimase un istante in silenzio, poi voltosi alla principessa:
― Andate, signora, le disse; voi siete libera di partire.
Essa prese Curzio per mano, e traendolo seco, scese precipitosamente le scale. I cancelli della prigione si aprivano l’uno dopo l’altro innanzi allo scritto di monsignor Pagni.
Giunta che fu sulla strada, la principessa trovò Maria Tognetti, che impaziente di abbracciare suo figlio, era scesa dalla carrozza, e si era avvicinata alla porta della prigione.
Appena vide giungere la sua protettrice seguita da un giovane carcerato, porse innanzi le braccia per stringere al seno il suo figliuolo; ma vedendo, invece del suo Gaetano, Curzio, che la principessa fece salire rapidamente nella carrozza, salendo anch’essa subito dopo, la povera Maria rimase immobile e muta. Voleva gridare, chiamare suo figlio, chiederne conto alla principessa, lanciarsi allo sportello del legno, al cancello delle carceri. Ma la sorpresa, l’emozione, il contrasto, le tolsero a un tratto il movimento e la parola. Agitò le mani, mandò un rauco gemito, ma si sforzò invano di muoversi e parlare.
La principessa sentì tutto il pericolo di quel momento; se Curzio si accorgeva dello scambio, pel quale esso veniva salvato invece del suo compagno Tognetti, avrebbe rifiutato di fuggire, e chi sa cosa sarebbe avvenuto.
La paura la rese crudele; seguendo l’impulso irresistibile dell’amore materno, che fa anteporre la salvezza di un figlio ad ogni altra considerazione, comandò al cocchiere di far partire la carrozza al galoppo.
Maria vide allontanarsi rapidameute il legno, e con esso ogni sua speranza; guardò anche una volta le tetre muraglie che le contendevano il figlio, mandò un grido, e cadde riversa sopra il selciato della via.
XX.
La rivincita di un prelato.
La desolazione più fiera era entrata nella casetta di Trastevere, dove un giorno aveva regnato la pace e la serena tranquillità di una vita modesta e incolpata. La famiglia di Giuseppe Monti era colpita dalla maggiore fra le disgrazie. Il capo maestro languiva in un carcere durissimo, minacciato da una condanna di morte, soggetto a tutte le privazioni e ai