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86 | i processi di roma |
patimenti del prigioniero, e martoriato da quell’angoscia più crudele d’ogn altra d’essere diviso dalle persone tanto care al suo cuore.
Intanto sua moglie, i suoi figli, abbandonati, privi di soccorso, soffrivano l’inopia delle cose più neccessarie, e il tormento più feroce struggeva il cuore della Lucia, il pensiero delle sofferenze di suo marito, e il terrore della sorte che gli soprastava.
Essa era ignara della parte che Monti aveva avuta nella rivolta: ma sinistre voci erano giunte fino a lei, che parlavano di gravi indizi, di prove, di confessioni, di pene estreme, e tremende; e in quella incertezza paurosa quanto fosse straziata l’anima della povera donna, chi ha cuore nel petto può facilmente immaginarlo.
Nei primi giorni essa aveva trovata quella violenta energia, che assiste la donna nei momenti più terribili della vita. Animata da un virile coraggio, si era presentata agli uffici, alle prigioni, aveva parlato ai giudici, ai cancellieri, aveva chiesta udienza a prelati, e cardinali; preci, pianti, denaro, tutto aveva posto in opera per giovare al marito.
Ma quando vide tornar vani tan li sforzi pertinaci; quando vide accolte con fredda indifferenza le sue disperate supplicazioni, e perdersi tutte le sue monete nelle ingorde mani degli uscieri e dei secondini, senza alcun frutto, e ch’essa non poteva nemmeno aver notizia dello stato di suo marito, e del suo destino, e che le era conteso perfino il conforto di vederlo una volta, di mescere con esso il pianto degl’infelici, allora la povera donna sentì lo scuoramento entrarle nel cuore, e venirle meno ogni forza. In quella febbrile attività dei primi giorni si era consumata tutta quanta la sua energia; essa cadde in uno stato terribile di prostrazione.
Frattanto le sue risorse pecuniarie erano mancate, avendo ella consunti tutt’i suoi risparmi in quegli inutili tentativi: e i suoi bambini avevano bisogno di pane. Fu allora che la buona Teresa divenne l’angelo tutelare della famiglia.
Anch’essa aveva un pensiero d’amore che si volgeva dolorosamente alle Carceri Nove; ch’essa era amante e fidanzata del giovane Tognetti; ma all’aspetto di quella immensa sventura, che aveva colpita la sua cugina Lucia, dimenticava gli affanni suoi proprii per dividere le pene atroci della moglie di Monti. E quando il coraggio di questa, giunto all’estremo, diè luogo a un cupo sconforto, essa pensò e provvide ai bisogni della famiglia.
Si diede a lavorare giorno e notte senza riposo, e per quella fatica continua, smagrito il bel corpo, ingiallite le guancie e incavati gli occhi, mutò in breve sembiante, meno avvenente agli sguardi, ma più eletta e divina pel cuore; chè nulla sublima la donna quanto l’esercizio della pietà, la più celeste fra le virtù.
Lucia voleva lavorare anch’essa, ma in quello stato di affralimento a