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libro secondo - capitolo i | 193 |
possedute da’ duchi di Milano, desiderava che vi intervenisse
il consenso di Cesare per stabilirne meglio la disposizione;
e di questo trattò il cardinale coll’imperatore, mostrando che
sarebbe tornato a maggior servizio di Sua Maestá se quelle
cittá, tanto prossime al ducato di Milano, fossero state in
mano d’una casa tanto devota e congiunta, piú tosto che in
potere della Chiesa, nella quale succedendo qualche pontefice male affetto, diversi inconvenienti potevano nascere; che
quella non sarebbe stata alienazione di patrimonio della Chiesa,
poiché erano pervenute primieramente solo in mano di Giulio li, né ben confirmato il possesso se non sotto Leone;
che sarebbe stato con evidente utilitá della Chiesa, perché in
cambio di quelle il pontefice li dava Camerino e, detratte le
spese che si facevano nella guardia di quelle due cittá e
gionti ottomila scudi che averebbe il novo duca pagato,
s’averebbe cavato piú entrata di Camerino che di quelle.
A queste esposizioni aggionse anco il cardinale lettere della
figliuola, che per proprio interesse ne pregava efficacemente
l’imperatore; il quale non aveva la cosa discara, cosí per
l’amore della figlia e de’ nepoti, come perché sarebbe stato
piú facile recuperarla da un duca che dalla Chiesa. Con tutto
ciò non negò né acconsentí; disse solamente che non averebbe
fatto opposizione.
Trattò il legato con li cattolici ed ecclesiastici massime, confortandoli alla difesa della religione vera, promettendoli dal papa ogni favore. Della negoziazione di guerra, se bene trattata secretamente, ne presero sospetto i protestanti, perché un frate franciscano, in presenzia di Carlo e di Ferdinando e del legato predicando, dopo una grand’invettiva contra luterani, voltato all’imperatore disse: il suo ufficio essere difendere la Chiesa con l’arme; che aveva mancato sino allora di quello che giá bisognava avere del tutto effettuato; che Dio gli aveva fatto tanti benefici meritevoli che ne mostrasse ricognizione contra quella peste d’uomini che non dovevano piú vivere; né doveva differirlo piú oltre, perdendosi ogni giorno
molti per questo, de’ quali Dio domandará conto a lui, se non
Sarpi, Istoria del Concilio Tridentino - i | 13 |