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Pagina:Sarpi, Paolo – Istoria del Concilio tridentino, Vol. I, 1935 – BEIC 1916022.djvu/403

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libro secondo - capitolo viii 397


Ancora li padri deputati a formar li decreti in materia della fede, considerate le sentenzie delli teologi e le conclusioni in quali erano convenuti, tralasciati e distinti li articoli secondo il ricordo loro, e ordinatigli anco in serie piú consequente, formarono tredici anatematismi sopra li sacramenti in universale, quattordici del battesmo e tre della cresma, esplicati con tal forma che non restava censurata alcuna delle opinioni cattoliche, e stando sul comune sodisfaceva a tutte le parti. Ma nel componer li capi per esplicare la dottrina, come s’era fatto della giustificazione, non fu possibile farlo che, usando li termini d’una delle opinioni, non paresse reprobata l’altra; cosa che né alli dottori piaceva per affetto alla propria setta, né alli legati e neutrali, per non seminar cause di novi scismi. Ma non essendo possibile esplicar la dottrina cosí delicatamente che non si pendesse piú da una delle parti, remisero alla congregazione generale il difinire il modo come li sacramenti contengano e causino la grazia.

Nella congregazione non fu minor perplessitá di quella che li deputati avevano: con tutto ciò una parte delli padri inclinava piú tosto a tralasciar affatto il capo della dottrina e passar con li soli anatematismi, come s’era fatto del peccato originale. L’altra parte voleva onninamente li capi della dottrina, allegando le ragioni usate quando si deliberò di trattar cosí la giustificazione, e che l’esempio introdotto allora era necessario seguire. Doversi usar ogni accuratezza per farlo con sodisfazione di tutte le parti; ma finalmente esser necessario farlo, e non esservi pericolo di alcuna divisione. Perché sí come li teologi presenti in concilio, se ben acremente defendono la propria opinione, si rimettono nondimeno alla sinodo, il che essendo certa cosa che faranno anco li assenti, non si debbe restar di far cosa perfetta per convincere li eretici.

Averebbe prevalso questa sentenzia, se non se gli fosse opposto vivamente Giovanni Battista Cigala, vescovo di Albenga e auditore della camera, il quale disse che per la lezione delle istorie non s’averebbe mai ritrovato che alcuno,