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libro primo - capitolo iii |
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Concluse il papa esser nell’animo suo tanto certo dell’esito,
che poteva parlarne come profeta e affermare che, facendosi
concilio, seguirebbono maggiori disordini in Germania; perché
chi lo richiede, mette innanzi per pretesto di continuare sino
allora nelle cose attentate; quando da quello le opinioni loro
saranno condannate (ché altro non può succeder), piglieranno
altra coperta per detraere al concilio; e per fine l’autoritá
cesarea in Germania resterá annichilata e nelli altri luochi
concussa; la pontificia in quella regione si diminuirá, e nel
resto del mondo s’amplificherá maggiormente. E però tanto
piú doveva Cesare creder al parer suo, quanto non era mosso
da proprio interesse, ma da desiderio di veder la Germania
unita alla Chiesa e l’imperatore ubidito. Che era irreuscibile,
se non si fosse transferito in Germania quanto prima e immediate usata l’autoritá, con intimare che senza alcuna replica
fosse eseguita la sentenzia di Leone e l’editto di Vormazia,
non ascoltando qualonque cosa li protestanti siano per dire,
(dimandando o concilio o maggior instruzione, o allegando la
loro appellazione e protesta o altra iscusazione, ché tutte non
possono esser se non pretesti d’impietá), ma al primo incontro
di disubedienzia passando alla forza, la quale li sarebbe stata
facile usare contra pochi, avendo tutti li prencipi ecclesiastici
e la maggior parte de’ secolari che s’averebbono armato con
lui a questo effetto; che cosí, e non altrimenti, conviene all’ufficio dell’imperatore, avvocato della chiesa romana, e al giuramento fatto nella coronazione di Aquisgrana, e che doverá
far nel ricever la corona per mano sua. Finalmente, esser
cosa chiara che la tenuta del concilio, e qualonque trattazione
o negoziazione che s’introducesse in quest’occasione, necessariamente terminarebbe in una guerra. Esser adonque meglio
tentar di componer quei desordeni col vigor dell’imperio ed
assoluto comando, cosa che si può reputar dover riuscir facilmente: e quando ciò non si potesse ben effettuare, venir piú
tosto alla forza ed arme, che relasciar il freno alla licenzia popolare, all’ambizione delli grandi e alla perversitá degli eresiarchi.
Sarpi, Istoria del Concilio Tridentino - i |
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