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libro quinto - capitolo i |
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ad usi umani, e chi teneva qualsivoglia minima parte di
quei beni era in continuo stato di dannazione: che se egli
avesse facoltá di concederli, lo farebbe prontissimamente
per pietá paterna, e per aver esperimentato la loro filial obedienzia; ma la sua autoritá non estendersi a poter profanare
le cose dedicate a Dio; e dover Inghilterra esser certa che
quello sarebbe un anatema e una contagione che averebbe per
divina vendetta tenuto sempre quel regno in perpetua infelicitá. Incaricò li ambasciatori di scriverne immediate; né
contento d’averne una volta parlato, con ogni occasione replicava l’istesso. Li disse anco chiaramente che quanto prima si
mettesse ordine di ritornar in uso l’esazione del denaro di
san Pietro, per qual causa egli, secondo il costume, averebbe
mandato un esattore; che quel carico di esattore era stato
esercitato tre anni da lui, mandato a quest’effetto in Inghilterra,
con molta sua edificazione, vedendo la prontezza nel populo,
e nelli plebei maggiormente. Gl’inculcava che non potevano
sperare che da san Pietro fosse loro aperto il cielo, mentre che
usurpassero le cose proprie di quel santo in terra. Questa
relazione fatta alla regina, con molti altri uffici che successivamente erano da Roma continuati, fecero che ella s’adoperò
con tutti li spiriti a questo. Ma perché molti della nobiltá,
e massime delli piú grandi, avevano incorporato diverse entrate nelle case loro, non si potè eseguire. Essa bene restituí
tutte le decime e qualonque cosa ecclesiastica applicata al
fisco regio dal fratello e dal padre. Li ambasciatori partirono
da Roma molto lodati e favoriti dal papa per la sommissione
da loro usata: modo col quale facilmente s’acquistava la sua
grazia.