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218 l'istoria del concilio di trento


parlarono con molto onore dell’imperatore e del re Filippo, ma in modo che il pontefice veniva grandemente eccitato: li imperiali con parole di ambiguo senso, e indirizzate a portar tempo inanzi. Li teatini, propri cardinali del papa, dissero cose molto magnifiche dell’autoritá pontificia e del valor e prudenza di Sua Santitá, sola atta a trovar rimedio a quel male, lodando tutte le cose fatte, e rimettendosi quanto al rimanente. Licenziato il consistoro senza che resoluzione fosse presa, il papa conobbe che bisognava o ceder o venir alla guerra. Dalla quale non aborrendo per il naturale suo pieno di ardire e di speranze, opportunamente li vennero avvisi dal nepote delle cose concluse in Francia: onde cessarono per tanto li ragionamenti di riforma e di concili, e si mutarono in discorsi di danari, soldati e intelligenze; delle qual cose, come non pertinenti al proposito mio, dirò solo quel che può mostrare qual fosse l’animo del papa, e quanto dedito alla riforma vera della Chiesa, o almeno alla colorata. Il papa in Roma armò li cittadini e abitatori, distribuendoli sotto li capi delli rioni, che cosí chiamano, e li rassegnò in numero di cinquemila, per la maggior parte artegiani e forestieri; fece fortificar molte delle sue terre e vi pose soldati di dentro; sollecitò che gli andassero tremila guasconi che il re di Francia inviava per mare, mentre si preparava l’esercito reale per passare in Italia, acciò il pontefice potesse sostenersi.

In questi maneggi e preparazioni di guerra il pontefice ebbe di molti sospetti, per quali serrò in Castello assai cardinali e baroni e altri personaggi. Impregionò anco Garcilasso di Vega ambasciator del re d’Inghilterra, cioè del re Filippo, e Giovan Antonio Tassis maestro delle poste imperiali. E al duca d’Alva, che mandò a protestarli del tener in Roma li fuorusciti del Regno, dell’aver posto mano e ritener in carcere senza ragione le persone pubbliche, e d’aver aperto lettere del re e fattogli altri oltraggi (che tutti questi accidenti erano avvenuti), soggiongendo che il re per conservazione della propria riputazione e della ragione delle genti non poteva restar, quando Sua Santitá avesse perseverato in azioni cosí