Pagina:Sarpi, Paolo – Istoria del Concilio tridentino, Vol. II, 1935 – BEIC 1916917.djvu/229

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libro quinto - capitolo ii 223


soverchia riverenza avesse approvato l’azione, se n’astenne. Successe finalmente l’accordo tra l’Alva e li Carafi a’ 14 settembre, essendo la guerra durata un anno. Nelle convenzioni il papa non volle che fosse compreso né il Colonna né alcuno detti sudditi suoi; né meno che vi fosse parola per quale si mostrasse che egli avesse eccesso nella pregionia de ministri imperiali; anzi costantissimamente stette fermo che il duca d’Alva dovesse andar personalmente a Roma a dimandarli perdono e ricever l’assoluzione, dicendo chiaramente piú tosto che partirsi un filo da questo debito (che cosí lo chiamava) voleva veder tutto ’l mondo in rovina; che si trattava dell’onor non suo, ma di Cristo, al quale egli non poteva né far pregiudizio né rinonciarlo. Con questa condizione, e con la restituzione delle terre prese, si finí la controversia. Fu stimato prodigio che il medesimo giorno della pace il Tevere inondò sí fattamente che allagò tutto il piano di Roma e destrusse gran parte delle fortificazioni fatte al Castel Sant’Angelo. Il duca d’Alva andò personalmente a Roma a sottomettersi al pontefice e ricever l’assoluzione per nome del re e proprio; e successe che il vittorioso ebbe a portar la indegnitá, e il vinto a trionfare maggiormente che se vittorioso fosse stato; e non fu poca grazia che dal papa umanamente fosse raccolto, se ben con la solita grandezza fastosa.