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libro quinto - capitolo ii |
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soverchia riverenza avesse approvato l’azione, se n’astenne.
Successe finalmente l’accordo tra l’Alva e li Carafi a’ 14 settembre, essendo la guerra durata un anno. Nelle convenzioni
il papa non volle che fosse compreso né il Colonna né alcuno
detti sudditi suoi; né meno che vi fosse parola per quale si
mostrasse che egli avesse eccesso nella pregionia de ministri
imperiali; anzi costantissimamente stette fermo che il duca
d’Alva dovesse andar personalmente a Roma a dimandarli
perdono e ricever l’assoluzione, dicendo chiaramente piú tosto
che partirsi un filo da questo debito (che cosí lo chiamava)
voleva veder tutto ’l mondo in rovina; che si trattava dell’onor
non suo, ma di Cristo, al quale egli non poteva né far pregiudizio né rinonciarlo. Con questa condizione, e con la restituzione delle terre prese, si finí la controversia. Fu stimato
prodigio che il medesimo giorno della pace il Tevere inondò
sí fattamente che allagò tutto il piano di Roma e destrusse
gran parte delle fortificazioni fatte al Castel Sant’Angelo. Il
duca d’Alva andò personalmente a Roma a sottomettersi al
pontefice e ricever l’assoluzione per nome del re e proprio;
e successe che il vittorioso ebbe a portar la indegnitá, e il
vinto a trionfare maggiormente che se vittorioso fosse stato; e
non fu poca grazia che dal papa umanamente fosse raccolto,
se ben con la solita grandezza fastosa.