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260 | l'istoria del concilio di trento |
volesse l’imperatore, purché li vescovi potessero andarvi
e tornar sicuri, non essendo conveniente assicurar quelli che
non hanno voto in concilio, lasciando senza sicurezza quelli
de chi consta; ma che di rivocare quello che era fatto in Trento
non occorreva parlarne, anzi voleva metter il sangue e li spiriti
per mantenerlo, essendo cosa di fede; che bene quanto a
quello che è di constituzion umana, sí come la comunione
del calice e matrimonio de’ preti, essendo quelli instituiti per
buon fine e approvati dalli concili, sí come egli non voleva
rimoverli da se stesso, se ben poteva farlo, cosí voleva il
tutto rimetter al concilio; se ben credeva che, con tutta la
concessione delle cose che dimandano, non si rimoverebbono
dalla loro opinione. Si lamentava della debolezza dell’imperatore, che temesse il proprio figliuolo non manco che gli
altri, e poi ricercasse che li prelati fossero mandati in Germania, dove si dechiara va non aver potestá d’assecurarli; che
egli sarebbe andato anco a Constantinopoli, pur che vi fosse
sicurezza, la qual non si poteva aspettar dall’imperatore; che
li alemanni erano quasi tutti eretici, e il re di Boemia piú
potente che il padre; che a lui non importava piú un luoco
che l’altro, purché fosse in Italia, che sola era sicura per i
cattolici.
Rispose però al re di Francia e all’imperatore in termini generali: contentarsi d’ogni luoco, purché fosse sicuro, ponderando quanto la sicurezza delli concili fosse stata in ogni tempo riputata necessaria, e fosse allora piú che mai di bisogno di quella, senza descendere a far opposizione alli luochi nominati da loro. Ma al re cattolico rispose lodando la sua buona mente e confermandolo nel suo buon proposito; e quanto al sussidio richiesto, interponendo varie difficoltá, cosí per sostentar quanto piú poteva le comoditá del clero, come per non offenderlo e averlo contrario quando si fosse venuto a far il concilio.