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libro sesto - capitolo vii 437


IX. Che sia levato in ogni loco il nome, ufficio ed uso di questore.

E in fine fu ordinata la sessione per il 17 del mese di settembre, con dechiarazione che la sinodo eziandio in congregazione generale possi abbreviar e allongar ad arbitrio cosí quel termine, come ogni altro che si assignerá alle seguenti sessioni.

Non furono le azioni di questo concilio in tanta espettazione nelli passati tempi quanta al presente, essendo convenuti tutti li principi in richiederlo, mandate ambasciarie d’ogni regione, congregato numero di prelati grande e quadruplo di quello che fu per l’inanzi; e, quello che piú era stimato, essendo stato dato principio giá sei mesi, e quelli consumati in quotidiane e continue trattazioni, con espedizione di molti corrieri e prelati da Roma a Trento e da Trento a Roma. Ma quando uscí in stampa la sessione, con una lingua da tutti era memorato il proverbio latino del parto delle montagne; particolarmente la dilazione delli due articoli era notata, parendo maraviglia che, avendo con quattro anatematismi fatto quattro articoli di fede, non avesse potuto dechiarare quello di conceder l’uso del calice de iure ecclesiastico. A molti pareva anco che quello dovesse esser trattato prima, poiché quando fosse stato concesso, cessavano tutte le dispute. Il terzo capo della dottrina fu assai considerato nella conclusione che, ricevendo il solo corpo di Cristo, non è fraudato il fedele di grazia necessaria, parendo una confessione che si perdi grazia non necessaria. E qui si dubitava se vi sia autoritá umana che possi impedir la grazia di Dio soprabbondante e non necessaria; e quando ben potesse, se la caritá concede questi impedimenti al bene. Due cose sopra le altre diedero a parlar assai. L’una, l’obbligazione imposta di credere che l’antichitá non tenesse per necessaria la comunione dei putti, perché, dove si tratta di veritá d’istoria, è cosa de fatto e de passato, dove non vale aver autoritá, che non può alterare le cose giá fatte. Ma è cosí noto a chi legge sant’Agostino che in nove luochi, non con una parola, ma con discorso asserisce la necessitá dell’eucaristia per li fanciulli, e [in] doi di essi la uguaglia alla necessitá