Pagina:Sarpi, Paolo – Istoria del Concilio tridentino, Vol. II, 1935 – BEIC 1916917.djvu/500

Da Wikisource.
494 l'istoria del concilio di trento


quelle comuni perché il populo comunica spiritualmente, perché sono celebrate da pubblico ministro e per tutti li fedeli.

VII. Che la Chiesa ha comandato di adacquar il vino nel calice, perché cosí Cristo ha fatto, e dal suo lato usci acqua insieme col sangue, e vien rappresentata l’union del populo, significato per l’acqua, con Cristo suo capo.

Vili. E abbenché nella messa si contenga una grand’erudizione per il populo, nondimeno i padri non hanno giudicato ispediente che sia celebrata in volgare; però, ritenendo l’uso approvato dalla Chiesa romana, acciò il populo non sia fraudato, debbano li parrochi nel celebrar la messa esponer qualche cosa di quello che si legge in essa, massime le feste.

IX. E per condannar li errori disseminati contra questa dottrina soggionge li nove canoni, anatematizzando:

I. Chi dirá che nella messa non si offerisca vero e proprio sacrificio a Dio.

II. Chi dirá [che] con le parole di Cristo: «Fate ciò in memoria mia», egli non li abbia instituiti sacerdoti e ordinato loro di offerire.

III. E chi dirá che la messa sia sacrificio di sola lode o ringraziamento, o nuda commemorazione del sacrificio della croce, e non propiziatorio; o vero giovi solo a chi lo riceve, e non si debbi offerire per li vivi, per li morti, per li peccati, pene, satisfazioni e altri bisogni.

IV. E chi dirá che per il sacrificio della messa si deroghi a quello della croce.

V. E chi dirá che sia inganno celebrar messe in onor dei santi.

VI. E chi dirá contenersi errori nel canone della messa.

VII. Chi dirá che le ceremonie, vesti e segni esterni usati nella messa siano piú tosto incitamenti all’impietá che uffici di pietá.

VIII. Chi dirá che le messe, in quali il solo sacerdote comunica, siano illecite.

IX. Chi dannerá il rito della Chiesa romana di dir sottovoce parte del canone e le parole della consecrazione; o vero