Pagina:Sarpi, Paolo – Istoria del Concilio tridentino, Vol. II, 1935 – BEIC 1916917.djvu/505

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libro sesto - capitolo x 499


disfazione, e con la speranza di ottener altre richieste da loro stimate giuste, fermato il moto in qual erano, e licenziati li ministri infetti, sperava di tenirli nella comunione cattolica. Aveva giá per isperienza veduto che la concessione di Paulo III non fu ricevuta in bene e fece piú danno che beneficio, e per questa causa non proseguí l’instanza sua piú oltre col pontefice. E se ne dechiarò, perché quando ricevette la nova del decreto conciliare, voltatosi ad alquanti prelati che presenti si ritrovavano, disse: «Io ho fatto tutto quello che poteva per salvar li miei populi; ora abbiatene cura voi, a chi piú tocca».

Ma quei populi, che desideravano e aspettavano la grazia, o, come essi dicevano, la restituzione di quello che gli era debito, restarono tutti con nausea che, essendosi prima trattato per sei mesi sopra una richiesta giusta, presentata con intercessioni di tanti e cosí gran prencipi, e dopo, per farci maggior esamine, differito doi altri mesi, e disputato e discusso di novo con tanta contenzione, in fine si rimettesse al papa cosa che si poteva, senza perder tanto tempo, tanti uffici e fatiche, rimetter al bel principio. Esser la condizione dei cristiani secondo la profezia di Isaia: «Manda, remanda; aspetta, reaspetta»; poiché il papa, richiesto prima, rimesse al concilio quello che allora il concilio rimetteva a lui, beffandosi ambidoi e delli principi e delli populi. Alcuni piú sodamente discorrevano che la sinodo aveva riservato due articoli a difinire: se le cause che giá mossero a levar il calice siano tali che convenga perseverare in quella proibizione; e se non, con che condizioni si debbia concedere. Il primo de’ quali essendo non di fatto, ma indubitamente di fede, per necessaria consequenza, rimettendo al papa la concessione, era costretto il concilio confessare d’aver conosciute le cause per insufficienti, e per rispetti mondani non aver voluto farne dechiarazione. Imperocché se le avesse giudicate sufficienti, conveniva perseverare nella proibizione; se rimaneva dubbio, doveva proseguir l’esamine; solo poteva rimettere, conosciuta la insufficienza. Che se pur avesse fatto la dechiarazione negativa, cioè le cause non esser tali che convenga perseverare nella proibizione, e rimesso al papa quello che restava farsi di fatto,