Pagina:Sarpi, Paolo – Istoria del Concilio tridentino, Vol. III, 1935 – BEIC 1917972.djvu/157

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libro settimo - capitolo x


quanto poteva comprendere, li pensieri di Sua Maestá erano indrizzati a fine di ottenere che si facesse una gran riforma, con tal provvisione che si avesse da osservare; e che poteva affermar certo non esser di piacer dell’imperatore che si finisca il concilio. Aver inteso che, essendo trascorso il noncio Delfino residente a nominar suspensione o translazione, l’imperator mostrò dispiacere. Riferí appresso esser opinione della corte cesarea che il cattolico s’intendesse con l’imperatore in quello che tocca al concilio: il che da lui era creduto, per essersi certificato che dalli prelati spagnoli erano state scritte lettere all’imperatore, con querele del procedere degli italiani e con molti capi di riforma, non essendo verisimile che essi avessero ardito di trattar coll’imperatore se non sapessero la mente del loro re. Disse ancora che il conte di Luna, quando dalli ministri del pontefice gli è stato detto della troppa licenzia presa dalli prelati spagnoli in parlar liberamente, egli rispondesse interrogando che cosa s’averebbe potuto fare se quei prelati avessero detto che cosí sentivano in loro coscienzia. Disse di piú il Commendone che nell’abboccamento che fará col Cardinal di Lorena era d’opinione che fossero per concludere di far proponer dagli ambasciatori le loro petizioni. Raccontò ancora che quella Maestá faceva consultar da teologi le sue petizioni e altre cose spettanti al concilio; che se ben egli e il noncio Delfino avevano usata molta diligenzia, non avevano però potuto penetrare li particolari.

Non passò però molto tempo che quelle ancora vennero a notizia. Imperocché scrisse il gesuita Canisio al general Lainez che l’imperatore era mal animato verso le cose del concilio, e che faceva consultar molti punti per esser risoluto come procedere, quando il papa perseveri in non voler che si proponga riforma, o vero in dar parole sole, contrarie de’ fatti. Fra’ quali uno era, qual sia l’autoritá imperiale nel concilio. Che della consulta era principale Federico Stafilo, confessore della regina di Boemia. Ricercò il Canisio che li fosse mandato uno della Societá, che l’averebbe introdotto in quella consulta, e con quel mezzo s’averebbe scoperto ogni trattazione. Onde,